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COLONIALISMO IN AFRICA
Fino al XIX secolo il continente africano presentava
solo forme di colonialismo commerciale, diffuso lungo le coste. Portoghesi,
inglesi, francesi, olandesi e arabi avevano fondato varie basi che, da un
lato, servivano da supporto ai bastimenti in rotta lungo le grandi vie di
comunicazione marittima e, dall'altro, fungevano da collettori delle merci
e dei prodotti africani: oro, pelli, avorio, legni pregiati, caffè,
pietre preziose, senza contare il fiorente commercio degli schiavi. L'unica
entità politico-amministrativa coloniale, sia pure in senso lato,
era costituita dall'impero ottomano, che si estendeva lungo tutto il bacino
meridionale del Mediterraneo, fino a lambire il Marocco. Esistevano poi
vari stati africani indipendenti, taluni meri aggregati di tribù,
altri autentiche entità politiche dall'antica e gloriosa civiltà:
essi resistettero inutilmente alla progressiva penetrazione degli europei,
preceduta da una lunga teoria di esploratori, in prevalenza britannici,
francesi e tedeschi. Dai primi viaggi di Mungo Park all'interno dell'Africa
occidentale (1795-1806), lo studio geografico del continente procedette
a un ritmo serrato: grazie agli sforzi di numerose spedizioni come quelle
del francese René Caillé (1827-1829), dei britannici David
Livingstone (1846-1873) e Henry Stanley (1874-1877) e dei francesi Fernand
Foureau e François Lamy (1898-1900), la conoscenza delle risorse
interne e delle principali vie di comunicazione fluviale, sul finire del
secolo, poté dirsi completata. Nel frattempo l'interesse di Francia
e Gran Bretagna per l'entroterra mediterraneo aveva propiziato i primi insediamenti
coloniali. Nel 1830, più per reagire a una critica condizione politica
interna che per assecondare una vera e propria iniziativa "africana", Carlo
X di Francia decise l'occupazione dell'Algeria, fino ad allora sotto il
controllo ottomano. Solo a partire dal 1833, tuttavia, i francesi, sollecitati
dalla guerriglia di 'Abd al-Kadir, furono indotti a penetrare nel deserto
interno e a sottomettere stabilmente i capi locali. Per debellare del tutto
la resistenza araba, il maresciallo Bugeaud finì per sconfinare in
Marocco e braccare ovunque Abd al-Kadir, che si arrese nel 1847. L'idea
del governo di Parigi era quella di ricostruire l'Africa romana: in questa
prospettiva si inserì nel 1881 l'occupazione della Tunisia (trattato
del Bardo), che costò tuttavia alla Francia la rinuncia al
controllo sull'Egitto, passato in mano britannica. Nell'ultimo ventennio
del XIX secolo, la Terza repubblica, a partire dai governi Ferry, accrebbe
immensamente i possedimenti africani: il Senegal, la Costa d'avorio, il
Gabon, il Dahomey, il Ciad e parte del Congo, tutti ubicati sul versante
occidentale del continente. Su quello orientale, se si esclude il piccolo
insediamento di Gibuti (1892), porto collocato in posizione strategica sul
mar Rosso, lungo le nuove rotte intercontinentali aperte dal canale di Suez,
l'unica acquisizione di rilievo fu l'isola di Madagascar (1895). Nel 1904
venne istituito il governatorato generale per l'Africa occidentale e nel
1910 quello per l'Africa equatoriale col compito di amministrare i territori
esplorati da Pietro di Savorgnan di Brazzà, che pacificamente li
annetté alla Francia grazie ad accordi con le varie tribù
locali. L'interesse britannico per gli affari africani cominciò,
invece, con l'inaugurazione del canale di Suez nel 1869, che abbreviava
notevolmente i collegamenti con l'India, la "perla" dell'impero. Nel 1875
il primo ministro Disraeli acquistò dal khedivé d'Egitto,
Ismail Pascià, le azioni della compagnia del canale possedute da
quel governo. Nel 1882 la Gran Bretagna si offrì di reprimere una
rivolta nazionalista in nome del khedivé, che diveniva il
capo di un governo fantoccio nelle mani di Londra. In Sudan, tuttavia, scoppiò
una grande e sanguinosa insurrezione antibritannica guidata dal Mahdi
Mohammed Ahmed, repressa da lord Kitchener solo nel 1898. L'espansione verso
sud pose a contatto la nuova colonia con gli insediamenti francesi, per
cui sorse improvvisa la crisi di Fashoda, superata con l'avvio dell'
entente cordiale tra le due potenze occidentali. La Gran Bretagna
nel 1900 possedeva inoltre Gambia, Sierra Leone, Costa d'oro, Nigeria, Uganda
e Kenya. Più complessa la situazione nell'Africa del sud, dove la
penetrazione verso l'interno, avviata a partire dalle colonie britanniche
del Capo e del Natal, incontrò la resistenza dei coloni bianchi di
origine olandese, i boeri, da tempo present nell'Orange e nel Transvaal.
I filoni auriferi e le miniere di diamanti scoperti nella zona spinsero
il primo ministro Disraeli a una prima azione contro i boeri che portò,
nel 1877-1879, alla sistematica annessione di vasti territori, provvisoriamente
bloccata dall'insurrezione zulu. La campagna proseguì sotto
l'azione di Cecil Rhodes, finanziere e avventuriero di idee imperialistiche,
che nel 1885 ottenne il controllo del Beciuanaland e della Rhodesia (1888-1891).
Divenuto primo ministro della colonia del Capo, egli pose le premesse per
la guerra anglo-boera (1899-1902), vinta dalla Gran Bretagna. Ai
boeri fu tuttavia riconosciuta una vasta autonomia. In base alle aspirazioni
dell'imperialismo vittoriano, i territori britannici avrebbero dovuto estendersi
dal Capo al Cairo. Questo progetto fu frustrato dalla Germania guglielmina
che, entrata tardi nel novero delle potenze coloniali anche a causa della
scarsa propensione del cancelliere Bismarck per le avventure extraeuropee,
riuscì tuttavia ad assicurarsi, tra il 1884 e il 1889, il Togo, il
Camerun, l'Africa del sudovest e l'Africa orientale. La conferenza di
Berlino (1884-1885), oltre a stabilire le regole della competizione coloniale,
contribuì anche a dirimere la questione sorta tra Belgio e Portogallo
per il controllo del Congo, dalle immense risorse minerarie. Grazie all'intervento
di Bismarck il Congo fu assegnato in possesso personale al re del Belgio,
Leopoldo II, mentre al Portogallo restavano Angola e Mozambico. L'Italia,
che aveva acquistato la baia di Assab dalla Società Rubattino nel
1882, mosse i primi passi alla conquista dell'Eritrea nel 1885, occupando
Massaua. Dopo la sconfitta di Dogali (1887),
i tentativi di espansione ripresero con Crispi che nel 1889, con il trattato
di Uccialli, otteneva dal negus etiopico
Menelik il riconoscimento dell'avvenuta annessione dell'Eritrea. I tentativi
diplomatici di Roma per affermare il protettorato italiano sull'intera Abissinia
si esaurirono nel 1891; Crispi decise allora di usare la forza, inviando
in Africa un forte contingente militare col compito d'intraprendere la conquista
del territorio. La disfatta di Adua (1° marzo 1896) indusse il governo
a una rapida ritirata, rimandando di fatto di un quarantennio, in pieno
regime fascista, l'occupazione dell'Abissinia (1935-1936). Nel 1911-1912
la crisi dell'impero ottomano consentì al governo Giolitti di sbarcare
in Tripolitania e di creare in Libia una colonia italiana. Nel 1935-1936
l'Italia fascista creò l'ultimo impero coloniale della storia, invadendo
l'Etiopia, perduta, come tutte le altre colonie, alla fine della Seconda guerra mondiale.
R. Balzani

R. Rainero, Storia dell'Africa dall'epopea coloniale ad oggi, Eri,
Roma 1966; F. Braudel, Il mondo attuale, Einaudi, Torino 1966.
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